venerdì 15 giugno 2012

Il corpo delle donne e il cervello degli spettatori
Qualche appunto scritto quasi di getto sul “documentario” di Lorella Zanardo, visibile integralmente qui ( durata 24').
Premessa: il mio è inevitabilmente uno sguardo maschile, ma anche una visione professionale e dunque non neutra. La mia vuole essere una analisi filmica del prodotto audiovisivo; prima che del tema affrontato, dei modi di affrontarlo. Innanzitutto “documentario” tra virgolette, perché siamo di fronte ad un prodotto “di montaggio” che vive grazie quasi esclusivamente di immagini prese (con quale “diritti”?) dalla tv, dunque è inevitabilmente televisivo come ciò che pretende di criticare. E le poche immagini originali sono piuttosto televisive che documentarie. Ecco perché.
All'inizio del filmato vediamo la Zanardo, ideatrice regista autrice del testo e voce narrante. Come la vediamo? Prevalentemente di spalle, in primo piano, seguita dalla telecamera a spalla: notiamo così i suoi capelli curati e fluttuanti. Ma soprattutto noi spettatori siamo alle sue spalle, sempre un passo dietro a lei, per un solo attimo al suo fianco. Alla fine della sequenza la telecamera si ferma e la vediamo in una fuga in avanti, come a dire: voi fermatevi qui, vado avanti io e vi spiego tutto. Il nostro occhio deve restare al suo posto e lasciarsi guidare, passivamente, come accade in tv. Infatti poi l'autrice sparisce, e resta solo la sua voce, fuori campo, da deus-ex-machina.
“Vi spiego tutto” infatti perché la voce narrante, sempre presente fuori campo, dunque onnisciente, tipica dei film di propaganda e della televisione in-formante, è la unica e sola guida allo spettatore. Mentre scorrono immagini di donne, spesso manipolate con ingrandimenti e rallenty, dunque vivisezionate, macellate dalla regia, la voce ricompone il “senso”, istruisce su ciò che si vede e ne compie il significato: l'occhio è così costretto a guardare ma altrettanto il cervello è costretto a pensare ciò che dice la voce. Fondamentalmente: “guarda pure, ma oltre a sentirti in colpa per il desiderio che alcune immagini scelgo che ti suscitino (mentre altre te le propongo ingrandite e rallentate per mostrarti la repulsione che devono suscitarti), sappi che quello che ti sto mostrando serve solo a permettermi di istruirti su cosa è giusto (senza mostrarlo) e cosa è sbagliato (mostrandolo)”.
La voce è lasciata volutamente “sul silenzio”, senza musiche di sottofondo. Potrebbe essere una scelta estetica, dunque apprezzabile, ma altri segnali di una povertà di mezzi produttivi mi lascia immaginare che non ci fosse possibilità di affrontare i costi di una colonna sonora. Dunque le immagini della tv si possono “usare” senza pagare dazio, mentre la musica no?
Il filmato è poi zeppo di affermazioni dogmatiche e formalmente calate dall'alto (la voce-dio fuori campo che guida l'intelletto mentre obbliga l'occhio a fissarsi su dettagli anatomici), che fanno violenza allo spettatore, in quanto obbligano ad assumerne la spiegazione di ciò che viene mostrato come l'unica possibile. Solo un esempio: si critica un riferimento al “sadomaso” definendolo “erotismo per nulla solare”. Dunque esisterebbe un erotismo solare (che non viene mostrato) nettamente distinto da un erotismo “lunare” (quello mostrato), e la distinzione è affermata una volta per tutte dalla voce narrante.
Oppure si contrappongono (“dicendo”) le donne “che forse avrebbero delle cose da dire” a quelle che hanno solo “cose” da mostrare, da fare con il loro corpo. Come? Mostrando in quantità queste seconde, mentre la voce “dice” e dunque in-forma. Ad un certo punto si fa riferimento esplicito all'estetica del film porno quando si dice che in certe trasmissioni televisive si posiziona “prima la telecamera per riprendere seni, vagine, cosce”. Bene, e come si affronta questo argomento? Con un montaggio di momenti salienti (simile a Blob o a certe “compilation” su Youtube o Youporn) pieno di dettagli ravvicinati e rallentati attraverso l'artificio del montaggio: più pornografico di così...
Quasi incommentabile poi uno dei momenti clou, dove il “rinunciare a mostrare la vera faccia” delle donne viene equiparato a “rinunciare alla propria anima”. Non c'è nulla di più o-sceno che “tirar fuori” l'anima, il metafisico per metterlo più a nudo, per esibirlo con maggiore crudezza del fisico. Ma quale anima, poi? Film e tv sono “costrette” alla “pelle” sottilissima della pellicola o della superficie dello schermo, alla (im)materialità delle immagini: il corpo si mostra, l'anima si “dice” (fuori campo). Dunque lo spettatore, ancora una volta, deve cedere la propria capacità di critica (avere un proprio punto di vista) in favore di un partito preso da accogliere passivamente e che si formula assiomaticamente, fuori dal visibile: “Io sono la voce di dio a cui credere sulla parola, senza potermi vedere. Credimi e sarai salvato”...
Anche più banalmente, frasi da cioccolatino come “la vulnerabilità è il maggior fascino del volto” impongono un'estetica manichea fondata su assiomi invisibili. Il manicheismo, molto di moda in questi tempi, viene fuori anche dalle opposizioni banali tra donne mature (“iene”) e giovani; tra l'immaginario televisivo e i film di Pasolini (“Mamma Roma” e “Medea”, con le citazioni dei volti della Magnani e della Callas), oppure tra i balletti “da strip-club” e quelli di Pina Bausch (protagonista una donna anziana). Almeno questi esempi “positivi” vengono finalmente mostrati. (Di)mostrando l'immaginario estremamente snobistico e intellettualistico dell'autrice.
Idem per le citazioni (testuali) altrettanto colte (Galimberti, Lipperini, ecc.) sapientemente disseminate nel filmato (specie nella seconda parte, quando emerge il “dovere” di una pars costruens del discorso).
L'apice però viene raggiunto quando si criticano le donne che giocherebbero coscientemente col potere seduttivo del loro corpo per conquistare il potere (che sarebbe solo maschile e che quindi le trasformerebbe poi, comunque, in non-donne). Il testo recita: “Giocare con i simboli e gli stereotipi presuppone una consapevolezza così potente e così granitica del gioco medesimo che è molto difficile non restarne scottati”. Come dire: io il gioco lo conosco e ve lo spiego senza restarne scottata. Ecco: come spettatore non mi sento affatto rispettato e messo sullo stesso piano intellettuale dell'autrice, che impone un'estetica e dunque un'etica. Del potere, brusco e maschile nei modi, che ha la televisione di in-formare. Per concludere: “Il corpo delle donne” adotta il linguaggio della televisione che vorrebbe criticare, assumendosi un ruolo onnisciente che pone lo spettatore in una posizione inferiore e passiva (si potrebbe dire “femminile”?). Alla stregua dei Grillo, dei Saviano e simili, si contrappone ad una immaginazione del potere utilizzandone gli stessi strumenti culturali, adottandone il linguaggio e assumendone il ruolo di leader, di guru.
Perché, in fin dei conti, non avevo nessun bisogno di vedere questo filmato per avere coscienza dell'uso che la televisione fa del corpo delle donne. Ma ancora una volta ho avuto prova (audiovisiva) dell'uso che si fa del cervello degli spettatori.
Ecco, forse per tutto questo, nell'epoca dei "tecnici", dei "nuovi professori", in Rai sembra esserci bisogno di gente come la Zanardo. Per imbastire una tv pubblica neo-etica, come quella degli anni '50. Che tolga di mezzo tette e culi per poi puntarci di nuovo un cannone nel salotto di casa, per farci sentire in colpa e insegnarci che è possibile redimerci, affidandoci alla guida teologica di certi guru...

giovedì 8 marzo 2012

post-ultimo post

E' davvero tantissimo tempo che non scrivo su questo blog, che definirei "in sonno" come certi terroristi!
Altre cose le scrivo su fessbuc, tuitter eccetera.
A rileggerci, dunque.

Per qualunque esigenza, da qualche parte trovate la mia mail.